Il culto della Madonna della Civita nell’Arcidiocesi di Gaeta. Fondamenti bizantini e vocazione ecumenica alla luce della storia
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Abstract
È noto come il Santuario situato su Monte Fusco a m 673 s.l.m., a una decina di km dal centro abitato di Itri, meta eletta di pellegrinaggi plurisecolari, debba la sua fortuna all’icona della Vergine Bruna, che campeggia tuttora sulla parete d’altare e che nel tempo ha stimolato un culto patronale divenuto appannaggio dell’intera arcidiocesi di Gaeta. L’atavico inno, con cui i fedeli salutano la Madre di dio, qui venerata sotto il titolo di “Madonna della Civita” e tramite festa solenne in calendario al 21 luglio per ricordo del giorno in cui Ella nell’anno 1527 avrebbe salvato dalla peste i paesi circostanti, recita questo significativo passaggio: «Iamme a Custantinopoli / ’ncuntramme ’na bella Signora / tutta bianca di carità. A Gaeta fuje sbarcate / na’ cascia i cristalle / cu’ duje muonace sante / che gheivene accumpagnà». Il brano è, in genere, ritenuto l’eco di una tradizione locale, secondo cui due monaci bizantini, scampati in oriente alla persecuzione iconoclasta, dopo varie peripezie, sarebbero approdati a Gaeta, portando in salvo l’icona, poi arrivata per evento straordinario su Monte Fusco e lì divenuta ben presto punto di attrattiva devozionale per il forte potere taumaturgico, tanto da far maturare intorno a sé la radiosa struttura impostasi alla storia, appunto, come “Santuario della Madonna della Civita”. Ebbene, di fronte a una tradizione locale, la sana critica storica cerca sempre una soluzione equilibrata, senza esagerare il valore dei dati ma neanche minimizzarli, ovvero né elevandoli a dogma di fede né confinandoli nella sfera del mito. Con equilibrio la ricerca scientifica deve scartare le inevitabili gonfiature narrative di carattere popolare, ma anche saper assicurare un’adeguata osservazione alla memoria di una comunità, che, oltre la lettura della ricerca etno-antropologica concentrata a decodificarne la celebrazione festiva quale “bene culturale immateriale o volatile” interessante solo nel dinamismo dell’attuazione rituale e per la comparazione delle variabili censite nel campionario delle reiterazioni, merita senz’altro di veder scavati i propri ricordi collettivi per individuare il loro tasso di aderenza o meno agli accadimenti spazio-temporali. E allora, avendo per obiettivo l’equilibrio come pure la missione propria dell’esplorazione storica, resta intanto da fissare, al di là di qualsiasi sviluppo mitologico da studiare a parte, se anche Gaeta in qualche modo possa essere stata meta autentica dei monaci bizantini in fuga dai torbidi della controversia iconoclasta e, dunque, ricettacolo di beni artistici traslati per metterli al riparo dall’ondata persecutoria.
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