I sacramenti per l’uomo. La questione antropologica come questione rituale
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Abstract
Immaginiamo una sfida intellettuale d’altri tempi. Si discute in merito all’esclusione dai sacramenti, sull’opportunità e le ragioni a favore di un atteggiamento più accondiscendente verso situazioni “irregolari” o a sostegno di un’ammissione più accorta. “Sacramenta sunt propter homines” – potrebbe sostenere il primo interlocutore: i sacramenti sono a favore degli uomini, e degli uomini di ogni tempo. La loro amministrazione è mutata nella storia su responsabilità della Chiesa che, in obbedienza a Cristo, ha sempre saputo modellare il suo corpus di riti, per mediare e non per allontanare. Eppure “Deus virtutem suam non alligavit sacramentis” – potrebbe ribattere l’avversario: escludere dal matrimonio, dal battesimo, dall’eucaristia o dalla preghiera delle esequie non significa condannare nessuno. Da sempre la Sacramentaria classica, anche tomista, non assolutizza i riti cristiani, ma sa che la grazia raggiunge gli uomini anche in altre forme. Ecco posta la nostra questione, cara a questo studio: gli adagi tradizionali della Sacramentaria, come quelli citati, possono essere utilizzati in senso ambiguo finché non è chiara la teologia fondamentale sottesa al loro utilizzo. Vorremmo ora mostrare che affermare che i sacramenti sono per l’uomo significa sostenere un argomento argomentabile solo se è chiara la cosiddetta “questione rituale”. I sacramenti sono per l’uomo solamente se è mostrato dunque che, in quanto riti cristiani, essi ricoprono un ruolo specifico per la salvezza dell’uomo. Che questo lavoro sia necessario, d’altronde, è onestà imposta dal contesto degli adagi classici citati che, entrambi, non si lasciano ridurre al significato con il quale, simulando, li abbiamo utilizzati poco sopra.
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