I sensi della Scrittura ispirata: tra metodo storico-critico e sensus plenior
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Abstract
C’è ancora quindi qualcosa da capire nella Bibbia? Sì. Perché anche l’interpretazione della Bibbia è stata troppo condizionata nel corso della storia da preoccupazioni umane. È un po’ come se la Bibbia dovesse essere ancora liberata del tutto per quel che concerne il suo infinito potenziale di senso. Io me la immagino, ed è l’icona che vorrei lasciare, come una sorta di grande masso, dove l’esegeta arriva, alla stregua di un novello Michelangelo, gli toglie le croste e ne fa uscire fuori la forma bellissima di Dio. Il nostro studio mira a togliere un pezzo di crosta, senza mettere in discussione la veridicità della Scrittura in quanto parte sacra. Lì non c’è nulla da fare. Essa infatti si regge da sola e non è certo il nostro compito quello di giustificarla. Sarebbe davvero strana una ermeneutica che in tutti i suoi passaggi si preoccupasse solo di “giustificare” la Bibbia. Ma in quanto vi è confluito di inquinamento umano sì, c’è ancora del lavoro da compiere. E non solo in ordine al modo inquinato in cui io, lettore moderno, posso leggerla oggi. Ma anche in ordine a quanto, ad esempio, Paolo ha messo di suo e che non va bene. Anzi il vero lavoro consiste proprio nell’individuazione dei limiti degli agiografi, e non nel nostro attuale limite. Perché mentre il lettore attuale può ricevere aiuto dallo Spirito nella sua comprensione che è sempre imperfetta, nel caso dell’agiografo scripta manent. Ed è lì, invece, che bisogna essere attenti. Mi sembra che questo sia il nostro lavoro di esegeti.
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